IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale n. 3563/1991 a carico di Malferrari Massimiliana imputata del reato p. e p. all'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 perche', nella qualita' di amministratore unico e legale rappresentante della S.r.l. Gironi (attivita' di produzione di generi di gastronomia), effettuava uno scarico di acque reflue in pubblica fognatura eccedente i limiti di accettabilita' fissati nella tabella C allegata alla legge n. 319/1976 e al regolamento comunale per lo scarico in pubblica fognatura (azoto ammoniacale mg 36.8 e grassi e oli animali e vegetali mg 714). In Bologna il 7 agosto 1991. Letti gli atti, osserva quanto segue, a scioglimento della riserva all'eccezione sollevata dal p.m. in udienza dibattimentale. L'imputazione contestata si fonda sul superamento dei limiti tabellari previsti dalle tabelle allegate alla legge n. 319/1976. Peraltro il d.-l. n. 537 del 17 settembre 1994, attualmente in vigore in attesa di conversione, ha modificato l'originaria disciplina legislativa degli scarichi, introducendo radicali innovazioni suscettibili di provocare effetti anche sotto il profilo dell'applicabilita' della sanzione penale. In particolare, per gli scarichi che recapitano in pubbliche fognature, l'art. 2 del citato d.-l. n. 537/1994 ha stabilito che gli stessi siano assoggettati al rispetto dei limiti di accettabilita' stabiliti dalla tabella C soltanto prima dell'entrata in funzione dell'impianto di depurazione fognario. Successivamente a tale data, invece, essi sono tenuti a rispettare i limiti imposti dal gestore della fognatura, stabiliti in base alle caratteristiche dell'impianto di depurazione in modo da assicurare il rispetto della disciplina degli scarichi delle fognature stesse definita dalla regione con il piano di risanamento delle acque. La norma in questione, pertanto, esclude l'applicabilita' di un regime tabellare uniforme su tutto il territorio nazionale (quale quello assicurato dalla tabella C allegata alla legge n. 319/1976) per gli scarichi che recapitano in fognatura ed introduce per gli stessi nuovi limiti di accettabilita' da definirsi, con norme regolamentari, a cura di comuni, consorzi e province che provvedono alla gestione del servizio di fognatura. Detti limiti, pero', non potranno essere stabiliti prima che sia definita dalla regione, con l'approvazione del piano di risanamento, la disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature la quale, per effetto di quanto previsto dall'art. 1 dello stesso decreto-legge, potra' derogare anche in senso meno restrittivo, al regime tabellare dettato dalla legge n. 319/1976. Va osservato, inoltre, che i limiti imposti con preesistenti regolamenti comunali non possono essere presi in considerazione dal momento che l'art. 1 del decreto-legge in questione fa salve soltanto le prescrizioni adottate in precedenza in materia dei soli scarichi civili non recapitanti in fognatura e di quelli delle fognature, senza minimamente accennare alle norme eventualmente gia' in vigore emanate dai gestori della fognatura. Dopo l'entrata in funzione del depuratore fognario, dunque, gli scarichi allacciati alla fognatura o sono privi di limiti di accettabilita' (se non e' stata definita dalla regione la disciplina dello scarico fognario stesso) oppure sono disciplinabili in modo che puo' essere meno rigoroso di quello previsto dalle tabelle allegate alla legge n. 319/1976. Dal punto di vista sanzionatorio, poi, le modifiche apportate dal decreto-legge in questione per tal genere di scarichi sono ancora piu' rilevanti. Con l'art. 3, infatti, e' stato completamente riformulato proprio il terzo comma dell'art. 21 della legge n. 319/1976 attraverso la riscrittura della norma incriminatrice contestata nel presente procedimento. L'inosservanza dei limiti di accettabilita' e' stata, in via generale, trasformata da contravvenzione in illecito amministrativo, ad eccezione dell'ipotesi disciplinata dal secondo comma. Tale ipotesi prevede ancora la sanzione penale (anche se non piu' della pena, congiunta ma soltanto della pena alternativa) purche' si tratti di scarichi provenienti da insediamenti produttivi (tra i quali e' classificabile quello da cui proviene lo scarico oggetto del procedimento) ed a condizione che vi sia stato un superamento maggiore del 20% " .. dei limiti di accettabilita' previsti dalle tabelle allegate alla presente legge o di quelli stabiliti dalla regione ai sensi dell'art. 14, secondo comma .. ". Dalla combinata lettura degli artt. 2 e 3 del decreto-legge, pertanto, si deve arrivare alla conclusione che, quando sia stato attivato il depuratore fognario, il mancato rispetto dei limiti di accettabilita' determinati dal gestore non sia sanzionabile penalmente (e nemmeno amministrativamente). La norma incriminatrice (ed anche quella che prevede l'illecito amministrativo contemplata al primo comma), infatti, non opera un esplicito riferimento a detti limiti ma si e' limitata a contemplare o i limiti tabellari (inapplicabili dopo l'entata in funzione dell'impianto) o quelli che la regione stabilisce con il piano di risanamento ai sensi dell'art. 14 (che riguardano altri scarichi ma non gli scarichi in fognatura). Essendosi accertato che la fognatura cui era allacciato lo scarico oggetto del procedimento era dotata di impianto di depurazione attivato dai circa 10 anni, si dovrebbe pervenire, in base al combinato disposto degli artt. 2 e 3 del d.-l. 17 settembre 1994, n. 537, alla declaratoria di irrilevanza penale del fatto con conseguente proscioglimento dell'imputata. Tuttavia insorgono nel giudicante dubbi in ordine alla costituzionalita' delle norme citate che fanno apparire e non manifestamente infondata la relativa questione, la cui rilevanza appare con evidenza ove si consideri l'impossibilita' di definire il procedimento senza dare applicazione alle norme richiamate. Il contrasto con i precetti costituzionali deve essere ravvisato sotto i seguenti molteplici profili: A) Contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Gia' altre ordinanze (cfr. pretura Terni 27 settembre 1994) hanno sollevato censure al riguardo. Pur partendo da analoghe premesse, il giudicante ritiene sussistano ulteriori profili di illegittimita' delle norme da sottoporre all'esame della ecc.ma Corte costituzionale. La nuova normativa favorisce ingiustificatamente la condotta piu' grave di chi scarichi sostanze inquinanti rispetto a quella di chi scarichi senza autorizzazione (sanzionata con pena alternativa). L'agevolazione discende non solo dall'aver sanzionato, in via generale, soltanto con la pena pecuniaria (meno grave in quella alternativa o congiunta) lo scarico con superamento dei limiti ma anche dal fatto di aver eliminato i limiti stessi e qualsiasi norma sanzionatoria per gli scarichi in pubblica fognatura dotata di impianto di depurazione, quando manchi la normativa regionale di risanamento (come nelle fattispecie). La Corte costituzionale ha piu' volte censurato, in passato, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, leggi che favorivano chi avesse posto in essere la condotta piu' grave discriminando chi avesse realizzato il fatto meno offensivo dello stesso valore giuridico (Corte costituzionale sentenza n. 249/1993). L'irragionevolezza della scelta legislativa, nel caso di specie, puo' essere ravvisata anche sotto altri profili. Infatti non e' giustificabile la scelta di non aver previsto specifici limiti per gli scarichi in fognatura quando non sia stato adottato il piano di risanamento. Se potrebbe accettarsi l'idea di un abbandono del regime tabellare in favore di un altro regime che ad esso si sostituisca, al contrario diventa incomprensibile il motivo per cui, a seguito della sola attivazione dell'impianto di depurazione fognario, si debba subito rinunciare all'applicazione della tabella C per gli scarichi confluenti in fognatura senza avere la possibilita' di applicare altri limiti per la mancanza del piano regionale di risanamento. Gli scarichi da insediamenti produttivi in fognatura risultano essere, in detta ipotesi, sprovvisti di limiti e di sanzione, ad equiparati, quanto a trattamento giuridico, in modo del tutto irragionevole, agli scarichi in fognatura da insediamenti civili. Ne' varrebbe sostenere, al contrario, che una qualche disciplina sanzionatoria potrebbe ricavarsi, per detti scarichi, dall'art. 22 della legge n. 319/1976 cosi' come modificato dall'art. 4 del decreto-legge n. 537/1994. La nuova norma, infatti, non solo depenalizza il precedente reato punito con la pena alternativa (e sarebbe, quindi, irragionevolmente piu' favorevole di quella tuttora contemplata al primo ed al secondo comma dell'art. 21), ma sanziona soltanto l'inosservanza delle " .. prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione, diverse da quelle relative al rispetto dei limiti di accettabilita' di cui al precedente art. 21". Per esplicita volonta' del legislatore, pertanto, essa non puo' piu' applicarsi per sanzionare un superamento dei limiti di accettabilita' (cosi' come, invece, nell'originaria formulazione era stato ritenuto possibile in relazione ad alcune categorie di scarichi). B) Contrasto con l'art. 32 della Costituzione. Le norme in questione dovrebbero tutelare l'ambiente dall'inquinamento idrico cosi' da assicurare, al tempo stesso, una difesa anticipata della salute dell'uomo, concepita dalla Costituzione come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'". Il carattere assoluto ed incomprimibile del diritto porta ad escludere che lo Stato abbia il potere di restringerne gli spazi di fruibilita', consentendo, sia pure per interessi pubblici di particolare rilevanza, di aggravare le condizioni dell'ambiente determinandone l'insalubrita'. Il supremo Collegio ha piu' volte ribadito tale principio (cfr. ad esempio Cass. 6 ottobre 1979, n. 5172) che impegna lo Stato a promuovere le migliori condizioni di salubrita' dell'ambiente al fine di consentire, cosi' come richiesto dall'art. 32 della Costituzione, la migliore difesa della salute delle persone che in quell'ambiente vivono. Non si vede come possano dirsi ispirate da un simile impegno promozionale le norme del decreto-legge che da un lato, almeno in certe condizioni, eliminano ogni limite e qualsiasi sanzione per gli scarichi in fognatura (proprio nel momento in cui, mancando il piano di risanamento, non esiste la possibilita' giuridica di disciplinare lo scarico finale della fognatura che puo', pertanto, essere effettuato senza alcuna limitazione) e, dall'altro, elevano indiscriminatamente del 20% tutti i limiti tabellari previsti per i diversi parametri, senza alcuna considerazione in ordine alla loro diversa pericolosita' od in relazione agli effetti provocati sulla salute. Cosi' come risulta difficile comprendere come sia possibile affidare alla piena discrezionalita' delle regioni (e persino dei gestori degli impianti di fognatura) il compito, delicatissimo, di fissare limiti di accettabilita' che debbono salvaguardare non solo l'ambiente ma anche la salute delle persone. Il carattere assoluto del diritto alla salute non consente una sua tutela differenziata a seconda delle diverse aree geografiche del paese e dipendente della maggiore o minore sensibilita' dei loro amministratori. Un regime che non assicuri un'uniformita' di trattamento, sia pur minima, ai limiti di accettabilita' degli scarichi idrici (che tanta parte hanno nella diffusione delle malattie, soprattutto di quelle infettive come il colera, come purtroppo recentemente sperimentato anche nel nostro Paese) non puo' dirsi conforme alle prescrizioni contenute nell'art. 32 della Costituzione. C) Contrasto con l'art. 11 della Costituzione. In Europa la CEE ha da tempo varato una strategia che mira alla "gestione integrata delle acque" finalizzata ad un uso razionale delle risorse idriche. Con una serie di direttive essa ha dato specifiche indicazioni in ordine ai problemi della qualita' ecologica delle acque di superficie, del trattamento delle acque reflue urbane, delle sostanze pericolose scaricate in ambiente idrico e della qualita' delle acque destinate al consumo umano. La normativa comunitaria si e' ispirata a principi molto semplici: da un lato ha dettato prescrizioni per impedire l'inquinamento della risorsa idrica, dall'altro ha dettato regole per evitare che l'uomo utilizzi acqua sprovvista di precisi requisiti di qualita' tali da renderla sicura. Si tratta di strategie difensive coordinate miranti al comune risultato di difendere la salute dell'uomo attraverso la tutela della salubrita' dell'acqua. In tale contesto gli Stati membri hanno il dovere di concorrere al raggiungimento degli scopi fissati dalla Comunita', varando la normativa che sia orientata a tal fine. Uno dei requisiti che la normativa statale deve possedere per poter partecipare alla realizzazione del progetto comunitario e' costituito dall'essere munita di sanzioni che abbiano " .. un carattere effettivo, congruo e dissuasivo" (cosi' si e' espressa la Corte di giustizia con sentenza del 21 settembre 1989). Le norme in esame hanno, invece, ridotto la parte sanzionatoria che caratterizzava, originariamente, la normativa italiana di tutela dall'inquidamento idrico. In tal modo hanno accentuato un divario gia' evidenziato da alcune sentenze di condanna da parte della Corte di giustizia della CEE, formulate in relazione alla ritenuta permissivita' del sistema instaurato con la legge n. 319/1976 (si vedano, al riguardo, le sentenze del 13 dicembre 1990 e del 28 febbraio 1991). Tale contrasto diventa esplicito quando il decreto-legge stabilisce, all'art. 1, che le disposizioni del presente decreto si applicano in attesa dell'attuazione della direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991. Quella direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane avrebbe dovuto essere attuata nel giugno 1993 e non certo itroducendo un sistema di liberalizzazione degli scarichi in pubblica fognatura quale quello che gli artt. 2 e 3 del decreto rendono, in taluni casi, inevitabile. L'aperto contrasto con le prescrizioni contenute in una direttiva comunitaria da parte di una normativa statale varata successivamente alla scadenza del termine per il recepimento della stessa costituisce, soprattutto se valutato alla luce di altri indici di permissivita' del sistema che ancor piu' segnalano un divario tra ordinamento interno e diritto comunitario, un fattore decisivo nel far supporre la violazione del precetto contenuto nell'art. 11 della Costituzione secondo l'ormai consolidato orientamento della Corte costituzionale. In tal caso, infatti, e' evidente la volonta' dello Stato di sottrarsi agli impegni assunti in sede comunitaria al cui rispetto esso invece e' tenuto, oltre che dal vincolo sul piano internazionale derivante dalla ratifica del trattato, anche, sul piano interno, dalla norma costituzionale che consente le limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. Tutte le descritte eccezioni appaiono non manifestamente infondate e rilevanti per i motivi gia' illustrati. Trattandosi di eccezioni sollevate in malam partem (dal momento che se fosse applicata la normativa della cui legittimita' costituzionale si dubita l'imputata dovrebbe essere assolta), giova ricordare come le stesse siano state considerate ammissibili dalla Corte costituzionale sin da quando, con le sentenze nn. 148/1983 e 321/1983, essa ha ritenuto possibile il giudizio di costituzionalita' nei confronti delle norme penali di favore, in modo da non privare la Corte di ogni strumento atto a garantire la preminenza della Costituzione sulla legislazione statale ordinaria.